Dott.ssa Sabrina Santaniello

Come è cambiata la professione del dentista nell’arco degli anni?

La nostra professione, da sempre autonoma e responsabile nel determinare i propri ambiti e le proprie modalità di sviluppo, fino agli anni ottanta e novanta era profondamente diversa soprattutto dal punto di vista burocratico. Fino a qualche decennio fa il traguardo più ambito era aprire uno studio, con la prospettiva di una professione remunerativa e gratificante dal punto di vista clinico. L’odontoiatria negli ultimi anni però è profondamente cambiata. L’impegno generato dal lato burocratico e imprenditoriale della professione sta di fatto superando quello clinico. Le nuove tecnologie sono state accompagnate da una quantità di attrezzature digitali elettromedicali veramente notevole che è entrata pian piano nei nostri studi, tanto che ora l’investimento per l’apertura di un moderno studio,  al passo con i tempi, è ingentissimo, sicuramente oltre le possibilità di un singolo tanto più se si tratta di un giovane odontoiatra. La procedure burocratiche sempre più impegnative,  l’avvento del franchising, delle catene del low cost, del turismo odontoiatrico e della pubblicità selvaggia in sanità,  in particolar modo in odontoiatria , hanno reso sempre più difficile la nostra professione e disorientato i nostri pazienti. Non solo, le prestazioni sanitarie sono sempre più gestite da polizze assicurative sanitarie, fondi e casse di assistenza integrativa per molte categorie di lavoratori che però non possono scegliersi liberamente il dentista da cui farsi curare, il quale a sua volta, scende a compromessi aderendo a tariffari e nomenclatori inadeguati alle cure erogate. Il titolare di uno studio si trova perciò a dover gestire una mole di lavoro extra – clinico legato alle pratiche burocratiche con progressivo aumento dei costi di gestione. Per questi motivi oggi una parte dei miei colleghi sostiene che ”tornando al passato non rifarebbe più il dentista e sempre più spesso si trova costretto a dover vendere lo studio”.  Essere un odontoiatra libero professionista oggi è infatti diventato ancora più oneroso, burocraticamente pressante e aggravato dalla crescita del contenzioso medico legale.  Per sopravvivere occorre sicuramente  accettare la sfida al cambiamento, rinnovandosi, investendo in tecnologia ed aggiornamento, ma ripeto, le nuove generazioni, ben difficilmente riusciranno ad acquistare studi competitivi se non si favorisce il passaggio generazionale. Per quanto riguarda l’avvio della professione, mi preme ricordare che, secondo gli ultimi dati statistici, l’ingresso nel mondo del lavoro ed il momento in cui si deve passare il testimone, sono senza dubbio gli step più critici e delicati nella vita di un odontoiatra.  Veniamo dunque agli ultimi dati in nostro possesso secondo i quali  il 77,6% dei dentisti under 35 svolge la sua professione prevalentemente come collaboratore o consulente presso realtà già esistenti mentre solo il 20,3% è titolare di uno studio monoprofessionale. 

Per quel che riguarda il passaggio generazionale si è vista una flessione al ribasso dei titolari di studio di un punto e mezzo percentuale rispetto ai dati del 2018 oltre che una decisa contrazione della pazientela registrata tra i Soci senior. Numeri e dati che lasciano poco spazio all’immaginazione: il paradigma professionale dell’odontoiatra si sta modificando. L’attuale situazione socio economica intimorisce il giovane dentista che vede poche certezze e tanti ostacoli lungo la strada della libera professione. Preferisce approdare in porti (non sempre) “sicuri” svolgendo l’attività di consulente piuttosto che costruire una nuova realtà. Il socio Senior, da parte sua, al termine della sua attività lavorativa, difficilmente trova le persone giuste e le condizioni adatte per attuare un concreto passaggio di consegne, disperdendo, in tal modo, il proprio sapere ed i propri pazienti.

– Lei è titolare di studio: quali sono i vantaggi e le difficoltà della libera professione, soprattutto (se ve ne sono) in termini di carriera, equiparazione economica ai colleghi uomini?

Per spiegare la situazione e rispondere alla domanda è necessario partire dai giovani: la libera professione in odontoiatria è soprattutto una necessità. Con il blocco delle assunzioni nel pubblico impiego, ma anche nel privato, necessariamente un giovane professionista apre la partita IVA e sposa, controvoglia, una libera professione che molti altri, a partire dagli odontoiatri, hanno fatto per scelta. Il gender pay gap sta aumentando sempre più. In generale una giovane collega guadagna il 58% in meno di un collega uomo. In termini anagrafici, paradossalmente rispetto al passato, la forbice tra reddito dei “senior” e dei “junior”, si è ridotta. I giovani guadagnano sempre meno, ma mentre in passato i colleghi adulti avevano un reddito molto più elevato, ora la crisi ha ridotto questo gap. Questa situazione vale anche per quanto concerne gli odontoiatri, con una aggravante: il costo di formazione di un odontoiatra, così come per un medico, è elevatissimo rispetto alla formazione di un avvocato, notaio, un laureato in filosofia e lettere. Costi che si ripercuotono sulla collettività.
Il reddito medio dei dentisti italiani è di 44 mila euro lordi e sarà dimezzato da questa pandemia. Basti pensare che in un sondaggio effettuato sui dentisti under 35, ben l’80% di loro ha affermato di non voler intraprendere la libera professione.

Per ciò che concerne carriera ed equiparazione ai colleghi uomini sotto certi aspetti, purtroppo anche oggi siamo ancora lontani dalla parità di genere. Sul lavoro, sicuramente, dove il tasso di disparità uomo-donna è superiore al 25% tra gli specialisti della salute e le professioni tecniche in campo scientifico, ingegneristico e della produzione, ma anche imprenditori, amministratori e direttori di grandi aziende, ingegneri, architetti e altre professioni altamente qualificate. E’ qui che entra in gioco la grande battaglia per la leadership femminile. Nonostante le grandi capacità di relazione delle donne, esiste una forte discrepanza tra la presenza femminile e quella maschile nelle posizioni apicali. Alla base di questa differenza vi è sicuramente, oltre a un fenomeno storico-culturale sopra descritto, la difficoltà del connubio carriera-famiglia e l’inconciliabilità tra i tempi della cura parentale e quelli di lavoro, con i tempi di carriera, necessari per raggiungere una posizione verticistica, spesso interrotti da esigenze fisiologiche come gravidanza, allattamento e cura dei figli. Risulta ancora irrisolto, quindi, l’annoso problema della conciliazione famiglia-lavoro e delle misure che possono agevolare tale rapporto. È un percorso questo iniziato nel 1946 e che ha portato, in alcuni casi solo formalmente, al riconoscimento delle pari opportunità ad ogni livello.Una battaglia che, nella sostanza, non potrà essere vinta senza interventi normativi che agiscano lungo più direzioni: politiche culturali di parità (combattere gli stereotipi, congedi parentali); politiche di sostegno alla famiglia (rivolte non solamente alle famiglie standard) e politiche attive del lavoro (costruire un ambiente favorevole per le donne, incentivare una maggiore consapevolezza di genere, sostenere la leadership femminile). In buona sostanza si tratta di educare alla parità e ad allenare all’empatia di genere diffondendo la cultura di genere e la valorizzazione delle differenze a partire dalla scuola.

– Il rapporto con i colleghi (uomini): apprezzamento o rivalità?

La strada è ancora lunga, ma oggi c’è una sensibilità maggiore da parte dell’uomo rispetto al passato su certe tematiche come quelle di genere, una sensibilità che nasce dalla società, in cui c’è un aumento del numero di uomini che rimangono soli a occuparsi della famiglia, visto l’incremento di divorzi e separazioni. In questi casi l’uomo si rende conto che il supporto per la gestione della vita familiare arriva quasi esclusivamente dalla famiglia stessa, non certo dalle istituzioni. Una situazione che porta in certi casi l’uomo ad affrontare le stesse difficoltà di una donna a parità di condizioni e ad entrare quindi in maggiore empatia con le problematiche da sempre appannaggio del genere femminile.

– Quali sono secondo lei sia come professionista che come rappresentante di categoria, le necessità attuali che giudica importanti per una migliore affermazione della professione?

Dobbiamo tener conto del fatto che nel nostro sistema sanitario il 95% delle cure odontoiatriche le forniscono i dentisti privati. Lo studio odontoiatrico, radicato sul territorio, ormai è un tassello importante in un sistema di sanità territoriale che tutti ritengono dovrà essere potenziato per evitare situazioni come quelle che abbiamo vissuto con la pandemia. E’ opportuno ribadire che la salute orale va tutelata come la salute generale, e quindi studi odontoiatri e studi di medicina generale devono essere considerati con lo stesso rispetto.

C’è anche un importante ruolo sociale svolto dagli odontoiatri, quello del ”Dentista sentinella contro la violenza di genere e sui minori”. Si tratta di un progetto, ideato in ambito locale, divenuto ora un importante piano di lavoro di ANDI nazionale con lo scopo di formare una rete di Odontoiatri esperti nel riconoscimento precoce di segnali di violenza o abusi sia su donne che minori. Anche noi dentisti grazie al ‘rapporto fiduciario medico-paziente’, durante la nostra attività libero-professionale, possiamo intercettare casi di prepotenze e maltrattamenti, spesso consumati in ambito familiare, imparando a riconoscere, sul viso e nelle lesioni della bocca e dei denti, i segnali di sopraffazione, impedendo che a questi possano seguire lesioni ancora più importanti e dall’esito fatale. Se opportunamente formati anche i dentisti possono distinguere i traumi imputabili alla violenza da quelli accidentali e svolgere un importante ruolo nel sociale attraverso la prevenzione.

Condividi: